Il ballo dell’Aeriforme

a cura di Lukrecija A.M. Bieliauskaite

www.juliet-artmagazine.com

16 maggio 2023

Apre la mostra bipersonale Levia Gravia di Valerio Anceschi e Luca Scarabelli, presso la Fondazione Sabe per l’Arte, Ravenna, a cura di Francesco Tedeschi. Lo spazio, attivo da novembre 2021, diventa punto di riferimento sul territorio per il supporto e diffusione a favore dell’arte contemporanea, in particolare l’arte della scultura. La mostra Levia Gravia segna non solo il dialogo fra le ricerche artistiche di Luca Scarabelli e Valerio Anceschi, ma fa anche coesistere e condividere la leggerezza e la gravità, quasi passandosene il testimone. “Senza l’esperienza vissuta degli opposti, non ci può essere l’esperienza della totalità”: cito Ernst Jünger per indicare le concettualità opposte degli artisti a creare lo spazio stesso, animandosi nella loro staticità.

Le opere presenti portano il movimento nella paradossalità scultorea. A partire da un paio di forbici, istericamente incuneate che portano con sé il ductus gravis dell’artista, come se ne fosse visibile il moto smorzato da un elemento tanto delicato quanto potente e levis, un uovo. Ritroviamo lo slancio, poi, nell’opera Simmetria: assimetria dove il ferro saldato si contorce, bidimensionale, quasi come fosse contrariato con le sue estremità aguzze, richiamanti i blocchi di ghiaccio di Das Eismeer di Caspar David Friedrich, eppure immobile. Un Sauro, pesante e affaticato, muove i suoi lembi pericolanti attraversando lo spazio della Fondazione Sabe per l’Arte.

E lì, scrutante e attento, il corvo tassidermico, trova ristoro per un istante eterno, su gomme da bicicletta che, forse, prima o poi, riprenderanno la corsa veloce nell’Orizzonte degli eventi. L’antinomia continua, coi Passi sparsi immoti, pronti a sparpagliarsi tra le gambe dei visitatori come bambini discoli. Come se, al calar del sole, Levia Gravia potesse prender vita. “Ad leve rursus opus, iuvenilia carmina, veni” verso ovidiano che trova spazio con leggerezza del moto, quasi giocoso, fra l’effettiva corporeità scultorea.

Il moto, latente o manifesto, risulta imprevedibile e sbalorditivo, quasi mistico dettato da vibrazioni d’aria e dal limite della nostra fantasia. Come dice Theodor Roethke “L’anima è dotata di molteplici movimenti” ed è così che, il ferro recuperato e oggetti esclusi dalla loro funzione, trovano una nuova possibilità, come medium, per la più alta intenzione.

Ogni curvatura e ogni superficie che l’oggetto tocca, trovano una forma espressiva simile alla danza come proprio linguaggio. Mi piace pensare che il movimento delle opere sia una danza Kuchipudi, fluida col busto ma rapida e acuta dai piedi. Figure che si espandono e prendono il proprio spazio, talvolta divenendone contenuto e contenitore come Immobile limite del contenente, tra feltro e marmo.

Accarezzato dal sole, poi, troviamo l’Aeriforme, che timido s’affaccia tra le colonne laterizie.  Solo e librato in aria, staccato dal suo corpo massiccio, lui col dardo di sole, volteggia. E noi, in silenzio, ne possiamo solo ammirare il prezioso ballo.